ARTICOLI D’ANTIQUARIATO

A molte opere, inclusi alcuni capolavori noti, sono attribuiti titoli che i loro autori non avrebbero neppure immaginato e che non trovano giustificazione se non nella fantasia e nella distorsione mentale di collezionisti e critici d’arte.

 

Rembrandt La sposa ebrea

Rembrandt, La sposa ebrea, 1666 circa, olio su tela (Rijksmuseum, Amsterdam)

 

“La sposa ebrea” è un olio su tela di 121,5 x 166,5 cm realizzato dal pittore Rembrandt Harmenszoon Van Rijn all’incirca nel 1666. Il dipinto, conservato nel Rijksmuseum di Amsterdam, firmato “Rembrandt F.(ecit)” e datato “16(…)”, ritrae un uomo che abbraccia una donna: il loro atteggiamento non ha nulla di lascivo, ma lascia presupporre un’intima consuetudine tra i due. Il soggetto si presta a diverse interpretazioni tanto che i significati attribuitigli sono state molteplici quanto improbabili: agli inizi dell’Ottocento, il proprietario del dipinto, John Smith, vi lesse un augurio di compleanno alla donna, il proprietario successivo identificò la donna come una sposa ebrea che il padre cinge con una collana; da allora in poi il tema biblico prese il sopravvento identificando le due figure come personaggi dell’epopea israelita, in particolare Isacco e Rebecca. Nel XIX secolo “La sposa ebrea” appartenne al banchiere olandese Adriaan van der Hoop, che la donò alla città di Amsterdam assieme ad altri 250 dipinti che, al suo trapasso, riuscirono a malapena a compensare le tasse di successione, ma contribuirono in modo determinante alla raccolta del Rijksmuseum.

Come per tanti capolavori della storia dell’arte universale, titoli posticci e interpretazioni di collezionisti e critici non hanno altro effetto se non quello di sviare l’osservatore dall’impeto emozionale e dalla qualità artistica che prorompono dalla tela. Sicuramente su “La sposa ebrea” influì il fatto che Rembrandt fosse vissuto nel quartiere sefardita di Amsterdam e avesse ritratto illustri esponenti di quella società divenendo uno degli autori preferiti dai collezionisti ebrei.

Chi in realtà abbia ritratto Rembrandt e quale fosse il legame che univa la coppia, quali i sentimenti dei protagonisti non è dato sapere e non si saprà mai, a meno che da qualche archivio o da qualche soffitta polverosa non emergano documenti attendibili sull’opera del Maestro fiammingo.

Sullo sfondo cupo e incerto, da cui non trapela alcun indizio sulla scena dell’incontro, risaltano i due personaggi riccamente vestiti che, seppure non si guardino, dimostrano confidenza e intimità e comunicano con la postura e la gestualità. Lui le abbraccia la spalla e con la mano destra le sfiora il seno in un gesto che appare, più che lussurioso, di affettuoso possesso e che la dama accetta accompagnandolo con la sua mano, mentre l’altra stringe all’altezza del ventre un oggetto indefinibile, forse a indicare un vincolo spirituale e fisico insieme.

Le moderne indagini radiografiche hanno mostrato che in una prima versione del dipinto, la donna sedeva sulle ginocchia dell’uomo come in un disegno in cui Rembrandt aveva raffigurato Isacco e Rebecca ispirandosi all’affresco di Raffaello nelle Logge Vaticane.

Con una rutilante tempesta di colori oro e porpora, Rembrandt sembra voler rappresentare il senso universale dell’amore più completo tra uomo e donna, vero elemento prezioso della vita, di cui abiti e gioielli sono testimonianze simboliche, ma la cui efficacia figurativa è  stupefacente. Il quadro ha un forte impatto estetico ed è capace di suscitare nell’osservatore stimoli emotivi individuali profondi nonostante il titolo fuorviante.

Certo, stupisce come la storia dell’arte si sia divertita ad attribuire ad alcune opere  intitolazioni improbabili mentre si esercitava a metterne in dubbio altre, fino allora considerate veritiere, come nel caso della Gioconda, che Giorgio Vasari indica chiaramente essere Lisa Gherardini, sposa del mercante fiorentino Francesco del Giocondo, identificazione confermata in un documento del 1503: “Come il pittore Apelle, così fa Leonardo da Vinci in tutti i suoi dipinti, ad esempio per la testa di Lisa del Giocondo e…”, ma per la quale, sull’onda di moderne esercitazioni letterarie, sono stati insinuati dubbi discutibili.

 

Alfredo Spanò
Ufficio Stampa Associazione Culturale Pennabilli Antiquariato